Ho testato Doji, l’app che (forse) rivoluzionerà come acquistiamo online
Come l'IA potrebbe aiutarci a scegliere meglio i nostri vestiti, a vantaggio dell'ambiente e del nostro portafoglio.
Qualche settimana fa, ho ricevuto un invito a testare Doji, un’app che simula la vestibilità dei capi di abbigliamento disponibili online. Doji funziona attraverso la creazione di una likeness, una versione digitale e realistica dei nostri corpi, simile a un avatar virtuale. Hai immaginato The Sims™? Dimentica tutto. Una likeness è molto meglio.
Per ottenere la mia likeness, dopo aver installato l'app, ho caricato alcune fotografie del mio viso e del corpo intero da diverse angolazioni. Essendo basata su intelligenza artificiale generativa, la creazione della likeness richiede pazienza—circa 30 minuti—e il risultato, sebbene non perfetto, è molto realistico.
Nota: non ho alcuna affiliazione con Doji. Condivido questa esperienza perché mi piace testare tecnologie promettenti che potrebbero essere utili ad altre persone.
Likeness 1.0: la rivelazione
Durante l’attesa, riflettevo sulla mia likeness in progress. Mi somiglierà davvero? Odio e venero l’IA generativa. Da un lato maledico la valanga di immagini mediocri spacciate per arte create con gli strumenti di OpenAI & Friends che inondano gli spazi digitali e sempre più quelli fisici. Dall’altra, apprezzo aziende come Antrophic che sviluppano tecnologie davvero utili per la vita professionale e personale. Ma torniamo a Doji.
La prima volta che ho visto la mia likeness ho riso. In parte perché, con mio grande stupore, aveva catturato con precisione alcuni miei tratti fisici distintivi. Ma soprattutto perché trovavo buffo vedermi replicata in un corpo statuario di 180cm, mentre io mi innalzo fino alla moderata altezza di 165cm, con tanto di capelli lisci, un look che ho abbandonato per ottime ragioni nel 2015. Tuttavia, come accennavo in precedenza e come sottolineano gli stessi sviluppatori di Doji, bisogna accettare alcune imprecisioni a questo stadio di sviluppo dell’app.
I resi: lo scheletro nell’armadio
Doji è attualmente promossa come un’app per aiutarci a esplorare nuovi look e verificare la vestibilità di migliaia di prodotti online con maggior accuratezza. Per me la sua forza sta soprattuto nel secondo obiettivo, perché consultare una versione digitale ultrarealistica di noi stesse con i capi che desideriamo prima di lanciarli nel carrello è una potenziale soluzione per ridurre il tasso di restituzione che flagella l’abbigliamento acquistato online.
Un’analisi condotta in Europa nel 2022 ha rivelato che il 20% dei capi acquistati online, uno su cinque, viene restituito1, con i vestiti a toccare picchi di restituzione del 54%. I motivi per cui rendiamo questi capi variano da persona a persona, magari la taglia non è quella giusta, oppure il prodotto non soddisfa aspettative individuali. Purtroppo, i resi celano un lato oscuro di cui abbiamo scarsa consapevolezza: i prodotti restituiti emettono 24 milioni di tonnellate di emissioni di CO2 ogni anno, e fino a 9.5 milioni di tonnellate di articoli restituiti finiscono in discarica2. Il video “I resi gratuiti ci stanno fregando” del comico ed esperto di scienze climatiche Rollie Williams è un’ottima occasione educativa e di intrattenimento per approfondire il tema. Ed è talmente divertente che lo avevo già citato nella mia prima newsletter.
Bracketing, wardrobing e altri mostri
Alcuni resi sono necessari e accettabili, altri sono la conseguenza di pessime forme di consumo, perché ad annerire il panorama oscuro dei resi si aggiungono le pratiche di bracketing e wardrobing. Il bracketing consiste nell’acquistare il medesimo prodotto in diverse taglie, colori o altre varianti, con l’obiettivo di tenere solo quello più adatto e restituire il resto. Il wardrobing è l’atto di acquistare un capo di abbigliamento o accessorio con il solo scopo di indossarlo una volta (per un’occasione speciale o per uno scatto fugace da pubblicare sui social media) per poi restituirlo richiedendo il rimborso completo. Il bracketing è una pratica tollerata dai rivenditori online, trattandosi di un comportamento legittimo di fronte all’impossibilità di provare i prodotti prima dell’acquisto, mentre il wardrobing è un abuso delle politiche di reso e considerata una forma di frode. Purtroppo, essendo comunque forme di resi, entrambi rientrano nell’impatto ambientale negativo dei resi già citato e provocano seri problemi logistici e perdite economiche considerevoli ai rivenditori online.
Doji: una soluzione promettente
Detto ciò, per me è evidente che Doji e la likeness possono aiutarci a fare acquisti più intenzionali e azzeccati in fatto di vestibilità, riducendo la possibilità di dover rendere uno o più capi indesiderati. Il tema dei resi è complesso, meriterebbe una newsletter a sé. Riconosco che parte dei motivi che lo rendono un salasso per l’ambiente hanno in parte poco a che fare con la volontà di noi consumatrici. Ciononostante, è uno dei tanti strumenti che possono aiutarci a fare scelte individuali più consapevoli, migliori per noi e l’ambiente. Sempre se e solo se la tecnologia su cui si regge sarà in grado di evolvere e scalare.
Se avessi una bacchetta magica
Per quanto Doji sia promettente, ci sono due aspetti da migliorare. Dunque, se avessi una bacchetta magica:
1. Aggiungerei una maggior varietà di corpi di riferimento
La mia likeness non torreggia fino 180cm per caso. È plausibile che le centinaia di migliaia, se non milioni, di input visivi processati da Doji per creare la likeness siano le immagini standard degli e-commerce più patinati, dominati da amazzoni statuarie e adoni usciti dal gymnasium di una polis greca. Non è una novità che i dati con cui si alimentano gli algoritmi di tecnologie pensate per le masse attingano da campioni ristrettissimi, e le persone stesse che li selezionano agiscano sulla base di pregiudizi socioculturali che finiscono per non rappresentare correttamente un campione esteso di persone3. Un database armonizzato con corpi fisici più svariati beneficerebbe il processo di creazione della likeness, rendendola più verosimile ai nostri corpi individuali.
2. Amplierei il portfolio con stilisti emergenti e virtuosi
Per quanto ami vedere la mia likeness indossare Dries Van Noten e Jil Sander, non acquisterei il 90% dei marchi che vengono proposti. Sono le solite case di moda che dominano le classifiche dei marchi del momento che in media hanno una lunga strada da fare per migliorare i propri processi produttivi in materia sociale e ambientale. Se avessi una bacchetta magica aggiungerei più BITE Studios e meno Prada, più Diotima e meno Just Cavalli, più Catheclisma e meno Maje.
Detto questo continuerò a seguire da vicino lo sviluppo di Doji. Attualmente è possibile scaricare l’app per iOS al seguente link.
Credi che la likeness sia una tecnologia che rivoluzionerebbe come acquisti abbigliamento online? Puoi rispondermi direttamente via email, con un commento tramite l’app di Substack.
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