Nel ventre smeraldo di Te Tai Poutini è incastonata una strada abbandonata, un tempo animata dai cercatori d’oro incantati dalle ricchezze minerarie di Aotearoa. Dei minatori non rimane quasi traccia, le comunità che li ospitavano sono villaggi fantasma, gli utensili per le attività estrattive sono spettri avvolte dalla ruggine. Quell’epoca è un passato lontano, mentre il governo della flora locale ha ripreso il potere, cancellando, radice dopo radice, la presenza passeggera dei minatori.
Oggi The Old Ghost Road è frequentata da chi ricerca un’avventura escursionistica epica, lungo il cuore di alcuni dei scenari naturalistici più iconici della Nuova Zelanda, immersi nello scintillio dell’oro verde dei boschi nativi del territorio.
Percorribile a piedi e su due ruote, The Old Ghost Road serpeggia per ottantacinque chilometri sulla regione montuosa a nord-ovest di Te Waipounamu, l’Isola del Sud. Con i suoi sentieri isolati custoditi da maestose foreste primarie, radure soleggiate e pianure fluviali puntellate da reperti archeologici, è un museo storico e naturalistico a cielo aperto. Ed è uno dei ventitré sentieri della Ngā Haerenga Great Rides of New Zealand, il progetto che ha reso Aotearoa una meta ambita e accessibile per il turismo su due ruote.
Di tutte le Great Rides, The Old Ghost Road è la più impegnativa tecnicamente. La portata principale è un single track dal terreno eternamente accidentato, servito con un contorno di strapiombi ripidi e piccanti, condito da oscillazioni termiche estreme. In una manciata di ore si può fare esperienza di quattro stagioni diverse. E considerando la mancanza di punti di rifornimento lungo il percorso, obbliga ad avere preparazione e rifornimenti abbondanti.
Sin dal nostro arrivo in Aoteraoa, The Old Ghost Road troneggiava la nostra lista delle escursioni indispensabili. Per chi visita il paese in bicicletta, non andarci equivale a recarsi in Italia senza fare tappa a Roma, Firenze o Venezia.
Fiduciosi dell’inverno mite durante la nostra permanenza sulla West Coast, all'inizio di luglio ci siamo avventurati lungo la Old Ghost Road in sella ai nostri destrieri di alluminio. Inebriati dalla promessa di un’esperienza indimenticabile, ma impreparati alle sorprese alimentate dalla nostra ingenuità.
Old Ghost Road, Old Ghost Flop
Il tutto ebbe inizio con congetture discutibili che, se mitigate da un pizzico di senso critico, ci avrebbero evitato penurie fisiche e mentali.
“Nonostante The Old Ghost Road sia progettata per mountain bike, noi trionferemo in sella alle nostre gravel”.
Ci illudevamo. Rifarei The Old Ghost Road centinaia di volte, ma mai inforcando una bicicletta gravel. Il costo da pagare è alto: spingerla per l’80, 85% del percorso, con il rincaro di una decina di crepe sul cerchio posteriore.
“È consigliabile farla entro fine giugno, ma non sarà un problema farla a luglio”.
Ci illudevamo di nuovo. Nonostante il meteo lungo il percorso muti repentinamente durante tutto l’anno, andarci d’inverno è una garanzia per pedalare attraverso pianure ghiacciate al mattino, resistere la calura improvvisa dei punti più elevati verso mezzogiorno, e frenare a vuoto lungo sentieri infangati sovrastati da una foresta piovosa nel pomeriggio.
“Non sarà difficile come dicono. Le escursioni sono in media più difficili sulla carta per tenere a bada gli ingenui”.
E, sorpresa sorpresa, gli ingenui eravamo noi. Se il percorso a piedi è una piacevole passeggiata, in bicicletta rasenta le tappe dell’Odissea di Omero: il sentiero è in un contesto remoto, connettersi a Sant’Internet non è concesso, il primo ospedale e il primo bike shop sono rispettivamente a 200 e 150 chilometri di distanza. L’unico lusso disponibile sono i modesti bivacchi notturni riscaldati dalla gentilezza e il carisma delle poche persone con cui si condividono gli spazi.
Valeva la pena? Assolutamente sì.
I quattro giorni trascorsi lungo il percorso saranno stati un martirio fisico per noi e meccanico per le bici, ma sono stati ripagati da un susseguirsi di vedute uniche su ecosistemi sontuosi in distanze relativamente brevi. La maestosità delle maunga (cime) del Lyell Range e le wao (foreste) native del Kahurangi National Park salpicate dalle wai (acque) del Mōkihinui River hanno reso la spossatezza mentale tollerabile e addolcito le mie lacrime nei tratti più impegnativi.
Dalla Old Ghost Road mi porto due promemoria speciali.
La prima è che forse siamo stati i primi Homo ingenus a percorrerla in gravel. Non ho gli strumenti per confermarlo, ma mi piace pensare che chi l’abbia pedalata prima di noi non sia stata o stato così naïve.
La seconda è un invito a ricordare che le difficoltà quotidiane—in viaggio, a casa o al lavoro—si possono alleggerire se affiniamo lo sguardo e ammiriamo la bellezza che ci circonda. Nell’essenza dei fiori che spuntano dal cemento urbano, alle melodie degli uccelli che sovrastano il traffico cittadino. Nel sorriso gentile di un estraneo, alla devozione di chi si prende cura di un essere amato. Nella sconfinata maestosità custodita nelle trame di maunga, wao, e wai.
Nello spirito di maunga, wao e wai, la cui grazia non cessa di meravigliarmi e, mi auguro, il cui incanto non smetta di cullarmi,
Valerie
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